C’era una volta il taxi.
Sono nato nei primi anni ’60 da una famiglia medio-borghese, mio padre meccanico e mia madre maestra, vivevamo in un palazzo nuovo a Cinecittà, non ci mancava niente: cinema, ristoranti, vacanze, macchine, moto.
Eppure, fino all’età di 25/30 anni non ho mai preso un taxi: né io, né i miei genitori, né i miei amici. Mi spostavo principalmente in tram, in bus o per tragitti corti o medi a piedi, qualcuno li usava in casi di emergenza o situazioni improrogabili, anche perché il costo dei taxi era alto e il confronto con i mezzi pubblici improponibile.
Vedevamo il taxi come un lusso per pochi privilegiati e, in effetti, il servizio che offriva era adeguato al suo costo. Avevi l’autista sempre pronto che ti trasportava precisamente nel luogo dove volevi andare e, all’occorrenza, ti dava molte informazioni utili e in caso di stranieri o turisti fungeva da guida o da consigliere per tutte le esigenze del caso.
Bene… cosa è cambiato oggi?
Niente di tutto quello elencato, solo il costo, che è ormai paragonabile proprio a quello di un autobus dell’Atac, coi limiti e i disagi immaginabili per un servizio neanche lontanamente paragonabile.
Allora perché l’amministrazione comunale si ostina a non ascoltare il grido di aiuto che arriva dalla categoria che chiede, ormai da più di 15 anni, l’aumento delle tariffe?
Semplice perché, così facendo, finirebbe per non soddisfare l’enorme richiesta di mobilità a basso costo da parte dei cittadini che il carente e inadeguato servizio pubblico non è in grado di offrire, con gravi ripercussioni sulla credibilità politica del sindaco e della giunta che quindi si guarderà bene di accogliere.
Se il sindaco vuole continuare su questa linea internalizzi il servizio, acquisti i taxi e le licenze e assuma gli autisti con regolari contratti, o pensa di risolvere il problema aprendo alle multinazionali che gli toglierebbero le castagne dal fuoco?
P.S. Come diceva un grande politico, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina!
Articolo a cura di Marco Panzironi