In poche ne sono a conoscenza ma 45 anni fa, il 18 Novembre il 1978, avvenne il più grande suicidio di massa della storia. La tragedia ebbe luogo a Jonestone, in Guyana, un Paese sulla costa atlantica settentrionale del Sudamerica, a confine tra Brasile e Venezuela.
Furono 918 le persone che persero le vita, seguaci della setta del ‘Tempio del popolo’, una comunità religiosa costituita da uomini, donne, anziani e bambini basata sul valore della sottomissione degli adepti e delle donazioni di tutti i loro beni.
La drammatica “scoperta” avvenne quando un plotone di soldati scoprì in un’area remota a 60 chilometri dalla capitale Georgetown, i corpi senza vita di 918 persone (tra cui almeno 200 bambini). La tribù capitanata dal reverendo Jones, credeva che la Chiesa, il governo e la Cia volessero distruggerli. Così il reverendo salì sull’altare e ordinò ai fedeli «il supremo sacrificio per la religione e il comunismo» e per «difendersi dall’imminente invasione delle forze del Male».
Centinaia di persone bevvero un cocktail al cianuro, il reverendo Jones aspettò che tutti esalassero il loro ultimo respiro e, solo in seguito, si sparò un colpo di pistola alla tempia; attorno a lui rimasero i cadaveri di 918 persone, il più grande suicidio di massa nella storia.
Tanti i dubbi e i misteri che ancora oggi, a 45 anni di distanza, aleggiano su questa tragedia. Dramma che mette in risalto la follia umana e fa riflettere su quanto influenzabile possa essere la mente dell’uomo.